L’eccesso di informazioni sta facendo evolvere – piuttosto in fretta – anche applicazioni e strumenti. Si sente sempre più spesso la necessità di dare un ordine all’accumulo di elementi di nostro interesse come note, appunti, immagini o idee.
Sempre più strumenti fanno riferimento a un approccio che cerca di gestire la conoscenza personale (PKM – Personal Knowledge Management), proprio come viene definita da Wikipedia:
«Un processo di raccolta delle informazioni che una persona utilizza per raccogliere, classificare, archiviare, cercare, recuperare e condividere la conoscenza».
L’organizzazione riguarda anche – e soprattutto – la nostra mente e non è più sostenibile una situazione che prevede di salvare elementi in Facebook, in LinkedIn, via email, nei preferiti del browser, nelle note del telefono, nel Kindle. Per non parlare delle note a margine di un libro o degli appunti sparsi tra blocchi e quaderni.
Saper gestire la conoscenza personale significa mettere in evidenza creazione, condivisione e connessione. Anzi, sono proprio le connessioni a stimolare l’atto di creazione delle idee.
In poche parole, significa isolare e proteggere il buono dall’eccessivo rumore.
Nella nostra cassetta degli attrezzi, il rumore non è incluso. Dovremmo tirar fuori la Marie Kondo che c’è in ognuno di noi anche per il digitale e decidere di eliminare tutte quelle cose che non fanno più da supporto alle nostre giornate.
In un incontro online organizzato da Activators Discovery, abbiamo parlato di come passare da collezionista a creatore nel mondo digitale.
La prima cosa importante per passare da una fase all’altra è quella di fare un’analisi dei punti di ingresso, intesi come le modalità di fruizione delle informazioni.
Corsi o webinar ai quali partecipiamo, libri o eBook, documenti o articoli, domande ricevute, chiacchierate interessanti e così via. Tutto ciò che fa parte della nostra vita e che potrebbe arricchire la nostra conoscenza personale.

L’essenza di quello che incontriamo – ciò che conta per noi – va isolata e protetta dal rumore. Per farlo, dobbiamo stabilire un processo che sia il più semplice possibile e che riduca la distanza tra quello che vogliamo fermare e il supporto che abbiamo scelto come contenitore.
Ogni volta che ho un’idea o uno spunto, non devo dire «Lo scriverò più tardi, è troppo complicato aprire lo strumento». Deve essere una cosa da ”cotto e mangiato”.
Come si sceglie uno strumento
«I buoni strumenti non aggiungono funzionalità o più opzioni a ciò che già abbiamo, ma aiutano a ridurre le distrazioni che intaccano il lavoro principale» (dal libro How to Take Smart Notes, di Sonke Ahrens)
I contenitori disponibili online sono tantissimi, ma l’importante è sceglierne uno e continuare a usarlo senza cambiare ogni due secondi. Deve aiutarci a costruire un processo immediato, automatico e ben definito per evitare che diventi una scusa per procrastinare.
Possiamo ricorrere agli aggregatori come Pocket, Instapaper o Raindrop, strumenti che permettono di raccogliere in un unico spazio articoli o risorse da rivedere in momenti specifici di tempo.
Possiamo gestire le fonti preferite raccogliendole in spazi digitali come quelli di Feedly o 1Feed. Il fine è quello di avere risorse già selezionate, lontano dal rumore tipico dei social network.
Ma non solo, ci sono anche soluzioni ibride, come Walling o Milanote, che rientrano nella categoria chiamata Visual Board. Sono strumenti che offrono la possibilità di creare bacheche nelle quali inserire ogni tipo di elemento multimediale e organizzare idee o progetti. Qui siamo un po’ oltre il concetto di aggregatore: si possono organizzare e raccogliere tutte le informazioni necessarie, ma anche scrivere e creare lavori completi.
La scelta dello strumento più adatto arriva solo dopo un’attenta analisi dei punti d’ingresso insieme alla tua indole:
- creativa: che ha bisogno di uno strumento visivo, in stile lavagna
- minimalista: che preferisce uno strumento essenziale, con una struttura prettamente testuale a elenchi, tabelle o database
- nerd: con uno stile molto vicino alla programmazione
- innovatrice: che combina vecchi e nuovi approcci come l’uso di note e quello che viene definito centro di conoscenza (knowledge base).
Tra le applicazioni più innovative che vanno oltre il concetto di aggregatore e che si focalizzano sulla scrittura e sulle connessioni, troviamo Obsidian, Roam Research e RemNote. Sono tool diversi dai quali siamo abituati e prima di usarli è importante capire cosa offrono, ma soprattutto perché stanno andando in una certa direzione.
Vediamo alcuni vantaggi:
- cambio di logica (come incasellare appunti o idee)
- collegamenti bidirezionali (collegamenti interni tra le note)
- passaggio dal concetto di gerarchia (dall’alto in basso) a quello di rete (orientamento libero)
- nessun punto di arrivo, ma una continua evoluzione
- focus sulle connessioni
- memoria a lungo termine
E proprio su Obsidian, ho avuto il piacere di fare una bella chiacchierata con Andrea Ciraolo e Federico Gelsomini. Sul canale YouTube di Andrea, siamo partiti dalle basi per arrivare ai plugin scoperti da Federico e agli approcci legati alla gestione delle note. Ecco il video per saperne di più su questo strumento.
Strumenti a parte, questi punti sono molto cruciali:
- approfondire la logica di gestione degli appunti: come scrivere le note, come collegarle e come ritrovarle
- mantenere separate le due aree principali – raccolta e lavorazione – anche quando si usa un unico strumento
Perché è così importante liberare la mente dalle informazioni o dalle idee?
La maggior parte delle persone gestisce meglio i fatti esterni piuttosto che quelli interni.
Quando ci sfoghiamo e portiamo fuori un problema ci sentiamo meglio.
Di solito, ce la caviamo nel dare consigli agli altri e meno a noi stessi.
Il giudizio di fatti esterni è sempre pronto all’uso.
Perché non usare questa naturale caratteristica nel nostro lavoro?
Un’idea (o qualsiasi altra cosa) che non prende forma all’esterno non può essere studiata, analizzata, apprezzata, giudicata, criticata, trasformata, ricordata o anche solo cestinata.
Per farlo, ci servono gli strumenti giusti, qualcosa che ci mostri le idee che raccogliamo. Che ci permetta di fare connessioni migliori. Che ci aiuti a osservare quello che abbiamo portato fuori dalla nostra mente.
Il fine non è solo quello di conservare, ma quello di nutrire la nostra conoscenza, aggiungere pensieri, opinioni ed esperienze personali. Per raggiungere questo scopo, abbiamo visto una serie di strumenti utili e ci tengo a sottolineare che non è sempre necessario replicare ogni applicazione o strumento su tutti i computer, tablet o smartphone usati.
Va benissimo essere sincronizzati, ma solo in presenza di una reale necessità, altrimenti il rischio è quello di amplificare il rumore senza motivo.
Per svolgere specifiche attività senza distrazioni, organizza – ad esempio il tablet – con solo l’essenziale per svolgere compiti più impegnativi o che richiedono più concentrazione (senza email, senza notifiche e senza social che rimarranno altrove). Se ne hai la possibilità, prova a ricreare il tuo ecosistema protetto almeno su un dispositivo.
Tutto in digitale?
No, non è detto e non è nemmeno così scontato. La carta ha innumerevoli vantaggi che abbiamo già visto parlando di come prendere note e appunti per lavorare meglio.
Ma porta con sé alcuni problemi e ostacoli legati allo spazio, alla lentezza, al trasporto o all’impossibilità di conservare tutto. Aspetti all’apparenza negativi, ma molto importanti per allenare la nostra capacità selettiva.
La verità è che con il digitale non sappiamo più selezionare, ma per farlo dobbiamo sforzarci di prendere la lentezza della carta e trasferirla online.
È anche un ottimo modo per facilitare la concentrazione visto che, quando siamo sulla carta, non ci sono altre distrazioni, luci, display, schede, notifiche nello stesso spazio. L’atto di scrivere su carta mostra un grosso limite legato alla ricerca futura e abbiamo già visto che le informazioni sono utili solo se riesci a ritrovarle quando ne hai bisogno.
Ci sono tantissime soluzioni per superare questo limite:
- la revisione costante che permette il passaggio dalla carta al digitale mantenendo solo l’essenziale
- l’uso di tecniche che prevedono l’uso di un indice per facilitare la ricerca
L’indice è uno degli elementi del Bullet Journal, un metodo che nasce sulla carta ed è adatto a chi si riconosce in questa descrizione di Anna Russell.
«Hai tanti quaderni o blocchi pieni di note per l’ufficio, per le spese, per gli appuntamenti, per gli scarabocchi. Hai un calendario da parete, uno da scrivania e due o tre app per la versione digitale. Scrivi liste di film da guardare o libri da leggere che non ritroverai mai più e fai sempre fatica a recuperare le tue coordinate bancarie. In pratica, sei una persona “da più quaderni”.»
Ryder Carroll, l’inventore del Bullet Journal, è una persona da più quaderni. Nato a Vienna da insegnanti americani, era un bambino distratto, costantemente indietro a scuola e ansioso. Gli venne diagnosticato il disturbo da deficit di attenzione e iperattività e, per superare le lezioni, iniziò a sviluppare piccoli trucchi di scrittura di diari. Scrivendo i suoi pensieri, riuscì a ottenere un effetto calmante e negli anni successivi iniziò a delineare il Bullet Journal – o anche BuJo.
In seguito, il metodo è diventato una comunità globale presente con molte varianti: BuJo per studenti, BuJo per genitori, BuJo per artisti.
È un tema enorme da trattare, ma, come dice l’autore del libro Il metodo Bullet Journal, non si tratta solo di organizzare appunti o liste, ma riguarda il vivere consapevolmente.
Se ti interessa il tema, ti consiglio anche il sito web di Lucia Vellandi che ha delineato tantissime risorse nel corso del tempo, tutte in italiano. Qui trovi la sua intervista di qualche anno fa.
Indice, simboli e collezioni sono solo alcuni degli elementi da usare per strutturare i quaderni e per riuscire a migliorare la ricerca.

Una nota a margine (ma neanche tanto a margine)
Se hai scelto il tuo strumento, controllato i punti di ingresso e iniziato a organizzare idee o appunti, sei solo a metà dell’opera.
Non esistono strumenti o metodi che ti tolgano dalla necessità di rivedere periodicamente le informazioni. La conoscenza personale, una volta acquisita, non è lì ferma, bella tranquilla ad aspettarti. È come il lievito madre, ha bisogno di cure costanti e di regole da seguire per rimanere viva.
«Un impasto di farina e acqua sottoposto a una contaminazione spontanea». Dalla definizione di Wikipedia, sostituisci farina e acqua con conoscenza già acquisita e nuova conoscenza per creare connessioni e contaminazioni spontanee.
Tutti noi possiamo essere Sherlock Holmes
«Secondo me, il cervello di un uomo, in origine, è come una soffitta vuota: la si deve riempire con mobilio di nostra scelta. […] Lo studioso accorto seleziona accuratamente ciò che immagazzina nella soffitta del suo cervello.» (dal libro Sherlock Holmes. Tutti i romanzi e tutti i racconti, di Arthur Conan Doyle)
Per Holmes, il cervello è una stanza in cui puoi riporre gli oggetti. Stanza che è costituita da due componenti: contenuto e struttura.
I contenuti sono le esperienze, le conoscenze e le informazioni. Tutto ciò che può essere memorizzato e che viene raggruppato in pacchetti. La struttura è il modo in cui il cervello immagazzina i pacchetti, dove li mette, come li etichetta e come ci aiuta a ritrovarli.
La soffitta è dinamica, cambia man mano che arrivano nuovi pacchetti mentre altri vengono scartati.
Quando c’è un nuovo caso da risolvere, Holmes raccoglie più dettagli possibili e li confronta con i pacchetti già esistenti. Prende nuove informazioni, le unisce a quelle vecchie e crea combinazioni e connessioni all’apparenza non correlate.
Che cosa c’entra con l’organizzazione della conoscenza personale?
Se continui ad aggiungere, deve imparare a togliere. Come? Selezionando e dedicando del tempo prestabilito all’azione di fare i mestieri online.
«Ora che mi ha insegnato queste cose, farò del mio meglio per dimenticarle.»
Nella soffitta dedicata al lavoro non c’è spazio per tutto e, soprattutto nel digitale, è così facile conservare informazioni da diventare un vero problema.
«Sì, ma io non ho tempo, devo lavorare.»
C’è un equivoco di fondo: la gestione della conoscenza personale, delle note, delle idee o degli appunti non sono fattori utili solo per chi crea contenuti, per chi scrive o per chi ha un blog.
Ogni elemento – ogni essenza – facilita la soluzione di problemi che possono capitare a chiunque. Un’attività per un cliente, una consulenza difficile, un proposta commerciale che sta andando per le lunghe… Tenere vivo il lievito madre può solo farti bene e se non curi questo aspetto sarà difficile semplificare alcuni passaggi del tuo lavoro, o anche solo cambiare qualcosa di quello che fai.
Per organizzare il lavoro, dovremmo prendere spunto da Hugh Grant che nel film About a Boy interpreta Will, un quarantenne che vive di rendita e che non ha la necessità di lavorare.
E mi dirai: «Certo, se non lavora…», ma, aspetta, la parte interessante è che lui vive le giornate dividendo il tempo in unità.
«La cosa importante nella vita da isola è pianificare le proprie attività e trovo che la chiave sia dividere la giornata in unità di tempo della durata di non più di trenta minuti: le ore intere possono intimorire un po’ e la maggior parte delle attività richiede circa mezz’ora.»
Alla fine del film capirà che nessun uomo è un’isola… ma il concetto di unità ce lo portiamo a casa.
Pensando alle gestione della conoscenza personale, la prima cosa da fare è quella di riservare delle unità di tempo alla revisione. Si tratta di avere a disposizione case e alberghi del Monopoly e decidere su quale proprietà metterli per rendere più funzionale il flusso delle informazioni.
Ci sono persone che, solo per mantenere viva la propria conoscenza, si stanno allontanando dal rumore dei social per ricreare degli spazi pubblici chiamati Digital Garden. A differenza dei blog, sono luoghi online mai finiti e in costante sviluppo, che sfruttano la condivisione pubblica proprio come una risorsa di energia, come un giardino di conoscenza da coltivare.
Adesso non ci resta che coltivare la nostra conoscenza e non c’è cosa più bella al mondo.