No, non sto parlando dei Vigili del Fuoco, ma di tutte le persone che ogni giorno sentono di dover spegnere degli incendi mentre lavorano.

Persone che dedicano gran parte del tempo a salvare la giornata lavorativa. 

Funziona all’incirca in questo modo: arriva un problema inatteso e si molla tutto per concentrarsi su come risolvere gli aspetti collegati. Arriva ciò che sembra un’emergenza e, fermi tutti, si va su quella. Arriva una domanda imprevista e tutto il resto svampa. Con il relativo blocco delle persone coinvolte.

Tralasciando i veri imprevisti della vita con i quali non possiamo farci molto, si tratta di cose inaspettate che vengono gestite appena si presentano, con la sensazione finale di aver salvato tutto e di aver portato a casa la giornata.

Ci si sente come i protagonisti della pubblicità di un famoso amaro:

«Il maltempo si avvicinava e dovevo raggiungere i miei amici prima che il vento diventasse troppo forte»

«Sembrava impossibile, ma ce l’avevamo fatta»

Ogni giorno così, a salvare la giornata. 

Per carità, se anche tu hai vasi da recuperare, campane disperse, amici esploratori in pericolo, cavalli e stambecchi da salvare o pezzi di ricambio da consegnare per riparare la barca che trasporta musicisti (?!?)… va bene così (e se non sai di cosa parlo guarda qui: https://youtu.be/oRcaHy32msw)

Ma se non hai delle reali necessità e passi le giornate a cercare di spegnere incendi invece di pianificare il tuo lavoro per tempo, vivrai l’inganno di sentirti utile anche se stai solo cercando di salvarti dal caos che proprio tu hai creato. 

Se passi ogni giorno lavorativo insieme a un cilindro magico dal quale estrarre problemi da risolvere, emergenze insuperabili, richieste urgenti, telefonate a ogni ora… ecco… o fai davvero parte del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco oppure due domande me le farei.

In questo modo si lavora in reazione, mentre una corretta pianificazione e un modo di lavorare organizzato portano a compiere azioni che ci fanno fare dei passi in avanti, invece di continuare a difendersi e giocare la carta degli imprevisti.

Abbiamo già parlato di tante modalità che possono aiutarci a gestire meglio le cose da fare, ma oggi voglio fare qualcosa di diverso per provare a uscire da questo circolo vizioso.

Ti faccio una semplice domanda e pensaci bene prima di rispondere.

Fai parte di chi vuole fare spazio o di chi cerca di riempire spazio?

La maggior parte delle risposte che ricevo va nella prima direzione.

«Basta comprare cose inutili, ah ma aspetta che ci sono le offerte e se me le lascio scappare…»

«Basta lavorare così tanto, ah ma aspetta che finisco solo una cosa…»

«Basta prendere altri clienti, ah ma non posso dire di no a questo contatto…»

«Basta iniziare nuovi progetti, ah ma questa idea è stupenda…»

Diciamo che tra teoria e pratica ci possono essere delle leggere differenze…

Fare spazio dovrebbe essere una guida. E non intendo l’azione di buttare senza senso o di dire no a tutto.

Fare spazio è quella cosa che ci allinea con la nostra indole e con quello che vogliamo fare. Il risultato non è rimanere senza niente, ma avere la possibilità di riempire gli spazi ripuliti con due ingredienti:

  • consapevolezza
  • intenzionalità

E per farlo dobbiamo incrociare:

  • cosa fare
  • come farlo

Consapevolezza e intenzionalità sono aspetti che ci fanno respirare e aiutano a prendere decisioni migliori. Decisioni che a loro volta proteggeranno gli spazi stessi.

Per spazio non intendo solo quello fisico.

Secondo Derek Draper – come riportato nel suo libro Create Space – per migliorare consapevolezza e intenzionalità, e a cascata tutto il resto, servono quattro spazi:

  • spazio temporale che riguarda il ritagliarsi dei momenti per pensare
  • spazio fisico alla ricerca dei luoghi e degli ambienti migliori
  • spazio relazionale con delle persone di riferimento per scambiare riflessioni
  • spazio mentale che prevede di mantenere una mente ricettiva, aperta al cambiamento e al continuo nutrimento

Questi spazi vanno creati e coltivati. Nessuno lo farà per noi.

Non è così facile e io stessa ho fatto – e faccio – molta fatica a coltivare questi spazi. Ma se c’è un aspetto che mi è stato davvero utile per gestire i miei spazi, soprattutto in questi ultimi anni, riguarda le connessioni.

Ovvero seguire persone che risuonano sulle proprie frequenze e ridare alle persone altre frequenze.

Andando sul pratico, ecco alcuni esempi.

Il podcast Diventando Freelance è il progetto della graphic designer Francesca Gimelli che ho scoperto grazie alla connessione creata tramite una conoscenza comune. Ascoltando le puntate si sente meno la solitudine che può arrivare con l’apertura della partita Iva.

Ma non solo, prima si impara a gestire i social e meglio è. Per chi non sa da dove partire, LinkedIn è un ottimo inizio e – per gestirlo in modo professionale – Maria Letizia Russo è la persona giusta (la trovate – neanche a dirlo – su LinkedIn e anche su Telegram).

Il mondo dei freelance mi riguarda da vicino e riesce a darmi tante gioie nonostante le numerose difficoltà. Barbara Reverberi è il riferimento per chi si sente un po’ perso in questo mondo e ha bisogno di un supporto concreto. Se non sai da dove partire, seguila su LinkedIn o su Telegram con il suo canale Freelance Mentor (o anche leggendo il suo libro Freelance Digitali).

In ogni settore, l’aspetto legale non è mai da sottovalutare. E seguire il canale Telegram dell’Avvocato del Digitale®️ significa ricevere tantissime informazioni utili e affidabili per tenere lontani diversi problemi (e prendere decisioni migliori).

Anche le competenze tecniche sono importanti e ti segnalo due canali YouTube gestiti da dei creator eccezionali con i quali ho avuto il piacere di realizzare alcuni video: Andrea Ciraolo e AutomatiKing.

Ma non basta, c’è modo e modo di lavorare e seguire quello che sta nascendo dal progetto #lavoroumano, attraverso il canale Telegram, può servire a cambiare gli aspetti negativi presenti in alcuni ambienti di lavoro.

Concludo con un argomento delicato, ma che fa parte della vita e che ci dà tanti spunti di riflessione su come vogliamo spendere il nostro tempo.

All’incirca due anni fa, ho condiviso su Telegram alcune riflessioni dopo aver letto il libro L’arte svedese di mettere in ordine.

Diretto, sincero e con un tocco di umorismo che non fa male, è un libro molto scorrevole scritto dalla svedese Margareta Magnusson che ha, come lei stessa riporta, tra gli ottanta e i cento anni e cinque figli.

Tratta un tema importante, quello della morte, insieme a consigli pratici su come gestire gli oggetti. L’autrice racconta di come in Svezia le persone si impegnino a sistemare la propria vita per alleggerire quella degli altri.

Il termine usato per questa pratica è “döstädning” e significa passare in rassegna tutto quello che si ha e decidere in che modo disfarsi di quello che non si vuole più per non far ricadere questo compito su altre persone.

Perché ti parlo di questo libro?

Lo scopo del döstädning è quello di risparmiare tempo.

Essere consapevoli di ciò che si possiede e liberarsi di quello che non si vuole più è un atteggiamento da mantenere per tutta la vita. E naturalmente vale anche per il lavoro.

Non sono molte le persone che si preoccupano di ridurre la quantità di oggetti in loro possesso e il disinteresse aumenta in modo esponenziale quando si ha a che fare con informazioni e dati digitali, “perché tanto non occupano spazio”

In ottica lavorativa, essere consapevoli di ciò che si ha e di come si possono organizzare gli spazi (fisici e digitali) aiuta a evitare i periodi di sfinimento che portano le persone a gioire di appuntamenti saltati, eventi rimandati, incontri evitati solo perché ci sono cose che non si riescono più a gestire.

E per citare Zerocalcare e la sua serie animata Strappare lungo i bordi, si diventa «cintura nera de come se schiva la vita»

E, aggiungo, anche il lavoro.

Perché in fondo «Non è divertente giocare a “nascondi le chiavi” quando sei tu che le nascondi a te stesso».