Quando ho letto il post di Pamela ho sentito un tonfo al cuore.

Non la conosco personalmente, ma fa parte dei professionisti della cinofilia che seguo perché risuonano sulle mie frequenze.

La storia della sua cliente, che si intreccia con l’esperienza vissuta con il suo cane, mi ha fatto fare un salto indietro di qualche anno, quando ho vissuto le stesse sensazioni con la mia cagnolona Gloria.

guinzaglio

Quelle sensazioni che portano allo stremo, a pensare di non farcela, di aver sbagliato tutto e di non essere abbastanza. Di non voler far altro che mollare tutto e gettare a terra il guinzaglio.

Gloria ha smontato molte mie certezze

Mi ha spiegato “un paio di cosine” e, forse per via del continuo confronto, è stata senza dubbio l’amica a quattrozampe che più mi è entrata nelle ossa. 

In realtà, il rapporto ha avuto una svolta quando ho smesso di chiederle di essere come mi aspettavo e ho iniziato a viverla per com’era. È stato un lavoro su di me, non su di lei o su di noi. Crisi e senso di sfinimento piano piano sono scomparsi e più ero io ad andare verso di lei e più era lei a venirmi incontro.

Credo che ognuno di noi abbia vissuto almeno un momento in cui lo sconforto era così grande da voler gettare a terra il proprio guinzaglio.

Lo vedo in chi mi contatta quando, dopo una crisi da “non trovo più niente”, “non riesco a portare a termine le cose”, “non ho un momento libero”, vuole vedere le cose da un’altra prospettiva.

Il cambio di prospettiva, quello vero, ha il potere di stenderti perché quando realizzi e smonti le certezze che ritieni facciano parte del tuo mondo, ti mette davanti tantissimi altri mondi sconosciuti fino a quel momento.

Quando mi sono trasferita nelle Prealpi Bergamasche pensavo di sapere qualcosa di cinofilia e credevo che bastassero dei boschi per far esprimere i cani.

Il cambio di prospettiva mi ha travolto, mettendomi davanti altri scenari

Ho conosciuto e sto continuando a conoscere mondi nuovi. Ho imparato la differenza tra cani da guardiania e da conduzione, cosa fare per rispettare loro, il pascolo e il selvatico.

Ho stampato nella memoria che la terra di nessuno non esiste e che boschi, prati, sentieri e alpeggi sono di un privato oppure del comune che dà in affitto il terreno a chi lavora in montagna.

Ho compreso che anche i costi del fieno e degli alpeggi sono aumentati. Ed è facile pensare al danno economico che si ha quando il pascolo non mangia più l’erba perché viene calpestata da numerosi gruppi che si intensificano nei fine settimana. Oppure quando alcuni antiparassitari che mettiamo ai nostri cani possono essere nocivi quando vengono rilasciati con i loro bisogni.

Tutte queste cose si possono tradurre in un necessario cambio di prospettiva e in un rispetto dei mondi noti e meno noti. Non esiste solo il nostro punto di vista anche se, quando ci siamo dentro, sembra davvero che sia così.

Questo cambio di prospettiva mi è stato utile più volte nel corso degli anni. Utile con Gloria, con il trasferimento e con il credere in un modo di lavorare organizzato e modulare.

Credo che “modulare” sia la chiave

In pratica, si tratta di mantenere le antenne alzate per riuscire a captare altri mondi.

Quando ho iniziato a lavorare da remoto pensavo che, grazie alla connessione potenziale verso tutto il mondo, sarei entrata a contatto con tanti punti di vista diversi. E in parte questa cosa è proprio vera.

Quello che non avevo considerato è il recinto che si crea lavorando solo online e che spesso riscontro nei linguaggi che usano le persone che si occupano solo di un determinato contesto. I termini sono sempre gli stessi, le contaminazioni si fermano e si ritiene che tutte le persone abbiano le stesse conoscenze. Se non si presta attenzione, è un attimo pensare che, anche nella connessione infinita del digitale, esista un unico mondo. Guarda caso, solo il nostro mondo.

In questo ultimo mese dell’anno mi auguro di imparare a distinguere il segnale dal rumore per cambiare prospettiva, andare verso quello che è sconosciuto e riuscire a prestare attenzione a ciò che davvero conta nel lavoro (e nella vita).

«In telecomunicazioni ed elettronica il rapporto segnale-rumore è una grandezza numerica che mette in relazione la potenza del segnale utile rispetto a quella del rumore in un qualsiasi sistema di acquisizione, elaborazione o trasmissione dell’informazione. […] «Il rapporto segnale/rumore è uno dei parametri con i quali si misura la pulizia del suono emesso.»

Con solo il digitale è molto, molto, molto probabile perdere tantissimo tempo nel rumore. Da qui il mio augurio di riuscire a rendere più pulita possibile l’attenzione, con le antenne alzate piene di segnali utili. E, anche quando il rumore non può essere eliminato completamente, si può riconoscere e gestirlo.

Senza dimenticare che, come dice uno dei miei cantautori preferiti, «ogni tant se stravacca el büceer de la bìra» (ogni tanto si rovescia il bicchiere della birra).

E si può sparare contro il tempo e smontare gli orologi («ho sparaa cuntra el teemp e ho desfãa i urelòcc»).

P.S.: se ti è capitato, pensa al momento in cui avresti voluto “gettare a terra il tuo guinzaglio” e a quello che ti ha insegnato.