Tristezza, dolore, tanta malinconia e tormento.
Sembra il testo di una canzone struggente in stile flamenco, ma in realtà erano le emozioni che portavo con me, in quello che è diventato il mio primo viaggio in solitaria.
«Solo bagaglio a mano e una quintalata di nuvole nere, grazie.»
Non sapevo nemmeno più cosa mi piacesse fare e per la scelta del posto sono partita da tre parole chiave che risuonavano in me: cielo, vento e… Guinness 😃
Dublino mi ha insegnato a visitare i musei da sola, a cenare da sola, ad andare al cinema da sola. Cose che in Italia non avrei mai fatto nemmeno se obbligata, bloccata da una catena che lega al pensiero altrui.
Alloggiavo all’ultimo piano di un b&b che aveva una camera enorme.
Oppure ero io a sentirmi così piccola.
La prima sfida da superare era l’ingresso. Al piano terra c’era un pub, uno dei classici pub in cui le pinte suonano e i violini danzano.
Una scena meravigliosa, ma non per me.
«Ma cosa volete?»
«Perché siete così amichevoli?»
«Non vi fa schifo la vita?»
E così, nel cuore del pomeriggio (“della notte” farebbe più scena, ma saranno state le 17.00…), mi rifugiavo nel letto grande grande dell’ultimo piano e io di colpo diventavo piccola piccola come Alice nel Paese delle Meraviglie che affronta la crescita e cambia sempre dimensione.
Tra una lacrima e l’altra, persa in quello spazio che non faceva altro che ingrandirsi ai miei occhi, ho fatto l’unica cosa umanamente possibile.
In pieno viaggio dell’eroe, con tutto il coraggio che avevo…
E niente.
Sono uscita e ho comprato un cappotto scozzese. Cos’altro avrei potuto fare in fondo 😅
(«Ma Deb eri in Irlanda?!?», «Questo era un piccolo trascurabilissimo dettaglio!»)
Una cosa strana per me che schifavo sempre lo shopping, ma questa semplice azione mi ha portato a…
Al mio caro amico quasi irlandese
Dal cappotto al pub è un attimo.
L’esperienza di andare al bancone da sola è uno dei ricordi migliori che conservo. Era un piccolo locale, non troppo lontano dal b&b, e i baristi mi hanno accolto come se fossimo stati dei vecchi amici. Nessuno di loro era irlandese ed era proprio bello parlare con il nostro inglese che non era inglese.
Non c’è niente da fare, quando sei in una situazione che risuona in te fa tutta la differenza del mondo. L’allineamento dei pianeti, il Cubo di Rubik risolto, la brioche alla crema che non ti sporca.
Il giorno della partenza ho scritto una lettera usando come foglio il retro delle attrazioni di Dublino che ho trovato in camera. Lettera bruttissima, sgrammaticata e senza forma.
L’ho fotografata, piegata e abbandonata sotto la saracinesca chiusa del pub. Ho lasciato al vento le mie parole.
Qualcuno ha mai letto quella lettera? Non lo so e non è importante.
Sul volo di ritorno piangevo in silenzio tutte le mie lacrime. Lacrime diverse, liberatorie, con un tramonto che mi guardava come il mio cane guarda il suo cibo preferito. Tra i volantini, ho trovato le indicazioni di un concorso, Irlanda nel cuore, che invitava le persone a inviare dei racconti per descrivere il viaggio nella terra verde.
Nei giorni successivi me ne sono fregata della bellezza del testo, in fondo era pieno di me.
Ho preso la foto della lettera, l’ho copiata parola per parola e ho inviato il testo. Non ho toccato una virgola.
E alla fine quel testo è stato tradotto ed è entrato nella raccolta dei trenta racconti selezionati e pubblicati.
Ci sono stati tanti “clic” nella mia vita e quello che faccio oggi arriva da qui. Dalla voglia di fare, di esserci, di provare e di sentirmi viva.
Di scrivere. Bene o male.
Non me ne frega niente.
Al mio primo sito
«Ah, ma il tuo compagno è un programmatore? Chissà quante cose che ti fa…»
Riavvolgiamo il nastro e torniamo nel 2016…
D. “Sai vorrei fare il mio sito con WordPress.”
S. “WordPress fa schifo.”
(Ha detto “è una m…a”, ma lasciamo perdere 😃)
D. “Ah va bene, allora mi aiuti tu a farlo?”
S. “Eh non è così semplice, considerando il front end, il back end, Java, perché l’effort, e poi la consegna, lo sviluppo, il progetto, il mockup, la UX, il design…”
Da qui in poi seguono altri termini strani e alcune litigate casuali in cui io rinfaccio comportamenti di otto anni fa e lui non si ricorda cosa ha mangiato a colazione…
Secondo voi com’ è andata a finire?
Ovviamente l’ho fatto in WordPress!
Senza aspettare di essere pronta o di avere tutto in ordine.
Al mio primo video
Mai nella vita avrei voluto fare un video.
Mai nella vita avrei voluto iniziare facendo un video di oltre un’ora.
«Ciao Debora, sono Andrea, ti andrebbe di fare un video su Trello?»
Prima di rispondere, mi mangio tre o quattro zone di comfort. Le brucio con la stessa tenacia che si usa per accendere lo zampirone.
«Ma certo! Che bello!»
Nella mia testa la registrazione sarebbe stata molto breve, con pause, tagli e parti da provare e riprovare.
Ma poi quel temutissimo giorno arriva…
«Ok Debora, adesso faccio partire il video. Sappi che io non faccio tagli, iniziamo a chiacchierare per circa un’ora a ruota libera e poi ci fermiamo.»
«…»
«…»
«…»
«Debora, tutto ok?»
«Nessun problema!»
Con il mio solito fare deciso e sicur… a no scusate, mi sono confusa.
Rifaccio.
Con il mio solito fare da pinguino del polo sud che tenta di rimanere in equilibrio tra una lastra di ghiaccio e l’altra, ho messo a tacere la parte di me negativa.
(A parte il leggero panico che stava arrivando e la nebbia in testa che portava via ogni nozione…)
Ero pronta? Assolutamente no.
Ma se non lo avessi fatto, tante delle cose che oggi fanno parte del mio lavoro non esisterebbero nemmeno.
Tra felici epifanie e incubi notturni, tra viaggi in solitaria e lettere mai lette… Se avessi aspettato di sentirmi pronta per lasciare l’indeterminato, per cenare da sola in un ristorante, per aprire la partita Iva, per scrivere, per conoscere nuove persone, per avere il coraggio di tenere alla larga la negatività… sarei ancora la Debora bloccata davanti a un monitor spento e avvolta da tristezza, dolore, tanta malinconia e tormento.
L’organizzazione, la preparazione e la programmazione sono aspetti fondamentali, che davvero possono migliorare la qualità del nostro lavoro e della nostra vita, ma spesso arrivano subito dopo la scoperta di noi. Dopo l’epifania.
Per me è stato così.
Adesso non potrei più vivere senza organizzazione, sapendo però di poterla richiamare anche in un secondo momento. Lei è lì che mi aspetta.
E sa che tornerò da lei.